Decrescita felice, sostenibile, solidale: mille modi per dire ricominciamo

Decrescita felice, solidale, sostenibile. Modi diversi di dire downshifting
Decrescita felice, solidale, sostenibile. Ovvero downshifting.

Talvolta, attraverso i canali mediatici, si sente parlare di decrescita, termine spesso accompagnato da aggettivi quali felice o solidale. Con questo termine si indica una corrente di pensiero, sia politico che economico-sociale, che ritiene opportuna una riduzione della produzione e dei consumi di beni, per poter trovare un equilibrio ecologico fra l’uomo e la natura.

Secondo i teorici della Decrescita, un’inversione di tendenza rispetto all’attuale modello di crescita è necessario ed urgente, in quanto la nostra civiltà tenderebbe all’autodistruzione e per evitarla bisogna immaginare un nuovo tipo di economia ed un nuovo tipo di società, che siano ecologicamente sostenibili e socialmente giuste.

Origine della teoria di Decrescita

Già dalla fine del ‘800, principi simili a quelli della Decrescita si possono trovare nel pensiero e nelle opere di H. D. Thoreau, W. Morris e di J. Ruskin, i quali suggeriscono la scelta di uno stile di vita di semplicità volontaria. Tuttavia, il termine Decrescita appare solo negli anni ’70 del XX secolo, nel titolo di un’opera di Georgescu-Roegen, considerato uno dei precursori della decrescita.

Questi, nel 1971 ha pubblicato “The Entropy Law and the Economic Process” nel quale, applicando la legge di entropia al modello economico attuale, afferma che ogni attività produttiva comporta una diminuzione dell’energia disponibile, in questo contesto rappresentata dalle risorse naturali, mettendo in evidenza la loro limitatezza ed il loro progressivo esaurimento.

Nel 1968, una associazione non governativa di scienziati, economisti ed attivisti dei diritti civili conosciuta come “Club di Roma”, commissionò ad alcuni ricercatori del MIT (una delle più importanti università di ricerca del mondo) uno studio che tentasse di predire le possibili conseguenze della continua crescita della popolazione sull’ecosistema terrestre.

L’esito di questo studio venne pubblicato nel 1972 con il titolo di “Rapporto sui limiti dello sviluppo” (The Limits to Growth), noto anche come “rapporto di Meadows”, che rappresenta il primo studio scientifico che individua nella crescita economica la principale causa dei problemi ambientali come l’inquinamento, la scarsità delle materie prime e la distruzione degli ecosistemi.

Nel 2006 il rapporto sui limiti dello sviluppo è stato aggiornato con nuovi criteri, restituendo tuttavia risultati pressoché identici a quelli del 1972: l’impronta ecologica (un indicatore utilizzato per valutare il consumo umano di risorse naturali rispetto alla capacità della Terra di rigenerarle), già attorno al 1980, ha superato la capacità di carico della Terra ed oggi la supera di oltre il 20%.

Il rapporto sui limiti dello sviluppo presenta diversi scenari, la maggior parte dei quali con esito catastrofico entro la metà del XXI secolo, se non si adotteranno quanto prima delle misure preventive, come la programmazione famigliare (cioè il controllo demografico), la moderazione degli stili di vita ed un utilizzo più efficiente delle risorse.

Il parere dei sostenitori della Decrescita

La decrescita come fuga dal caos
La decrescita come fuga dal caos

Un’idea comunemente accettata dalla società moderna identifica l’aumento del PIL con quello della qualità della vita. Secondo i sostenitori della Decrescita, invece, la crescita economica non porta ad un maggior benessere: questi può essere ottenuto solo migliorando i rapporti sociali, i servizi, la qualità ambientale e non con l’aumento dei consumo di merci.

L’attuazione di una Decrescita dovrebbe avvenire agendo su due livelli: a livello individuale, scegliendo stili di vita di semplicità volontaria; a livello globale, ricollocando le attività economiche allo scopo di ridurre le disuguaglianze sociali, gli sprechi energetici e di materiali, diminuendo di conseguenza l’impronta ecologica e l’impatto ambientale.

Secondo chi sostiene questa linea di pensiero, in un modello produttivo ed economico che dipende da risorse non rinnovabili, è impossibile separare la crescita economica dalla crescita dell’impatto ecologico. La ricchezza non è insita soltanto nei beni materiali, ma comprende anche altri fattori, come la salute degli ecosistemi, la qualità della giustizia, il grado di uguaglianza sociale, etc.

Le società consumiste non percepirebbero, distratte dal possesso di beni e dall’accesso ai servizi, il lento ma continuo decadimento della qualità della vita. Le risorse naturali sono limitate e vengono gestite male. La decrescita si propone come strumento per avviare una redistribuzione delle risorse del pianeta più equa ed efficiente.

Un processo di Decrescita dei Paesi più industrializzati dovrebbe avvenire limitando i consumi e sviluppando modelli energeticamente più efficienti. Inoltre la Decrescita non dovrebbe essere limitata ad una questione quantitativa, non si tratterebbe di fare di meno, ma di fare meglio usando meno risorse e riaffermando dei valori sociali ed ecologici.

Il principio della Decrescita non va confuso con quello dello sviluppo sostenibile, che non mette in discussione il perseguimento della crescita economica. Per i sostenitori della Decrescita, il principio di sviluppo sostenibile sarebbe una pura illusione, se non addirittura una menzogna, in quanto perseverando nella crescita economica non si cambierebbe affatto direzione.

Le critiche degli oppositori alla Decrescita

Lo sviluppo ed i sui simboli
Lo sviluppo ed i sui simboli

La teoria della Decrescita trova oppositori e detrattori sia tra gli economisti neoclassici che tra quelli di ideologia marxista, dai paesi in via di sviluppo e dai sostenitori del progresso tecnologico.

Secondo gli economisti neo-classici, quando una risorsa non rinnovabile diventa scarsa, la sua estrazione viene limitata dai meccanismi del libero mercato: l’aumento del prezzo porta ad una diminuzione della domanda ed allo stanziamento di fondi per lo sviluppo di alternative a quella risorsa. Secondo loro, se una Decrescita dovesse mai esserci, potrebbe essere quando il sistema economico avesse raggiunto il massimo sviluppo permesso dalle risorse disponibili e sarebbe una forma di recessione con gravi ripercussioni sia sull’occupazione che sul reddito delle persone.

Per i marxisti, invece, la teoria della Decrescita sarebbe sbagliata, perché non riconosce che il motore del capitalismo non è la produzione di merci in sé, ma la produzione e all’appropriazione privata del profitto. Secondo loro, il problema non sarebbe negli aumenti di produttività, ma solo nello scopo di tali aumenti: non è quanto si produce ma il come e per l’interesse di chi. La loro soluzione non starebbe nel negare la crescita, ma di pilotarla su di un piano razionale, che la regoli in base ai bisogni e non in base al profitto.

Il concetto di Decrescita è visto con diffidenza dai paesi in via di sviluppo, che ambiscono una crescita delle loro economie per raggiungere la prosperità. I secondo i sostenitori della Decrescita, questi paesi possono raggiungere un certo livello di benessere indipendentemente dalla crescita economica, puntando sulle economie locali di auto-sussistenza.

Considerazioni personali

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Dopo aver passato in rassegna la storia di questa corrente di pensiero, le tesi di chi la sostiene e quelle di chi vi si oppone, voglio aggiungere alcune considerazioni personali sull’argomento.

Una prima riflessione riguarda l’economia: il modello socio-economico più diffuso ha dimostrato di aver fallito, sempre che una sempre più diffusa povertà di fatto non fosse, in realtà, tra gli obbiettivi da raggiungere.

Il motivo di questo fallimento, e questa è la seconda considerazione, dipende in primo luogo da una promessa disattesa: il pretesto per inseguire la strada del progresso, dello sviluppo e dell’industrializzazione, è stata la promessa implicita che, seguendo questa via, sarebbe stato necessario lavorare sempre meno per ottenere lo stesso livello di benessere. Questo non è mai avvenuto, anzi! È necessario lavorare sempre di più per ottenere sempre di meno.

A questo si aggiungono problemi, per così dire, di tipo evoluzionistico: il naturale e continuo mutamento delle esigenze della società ha reso desuete abitudini, convenzioni sociali, tecnologie ed anche molte attività lavorative: l’aumento della produttività rende non necessaria una parte sempre più consistente della popolazione. Quindi, meno impiego ed impiego sempre peggio retribuito e questo vale anche per quegli impieghi che richiedono preparazione ed abilità tecniche: se non c’è più bisogno di manovalanza, chiunque voglia lavorare deve rivolgersi ad un livello superiore, da sempre destinato ad essere coperto da un numero inferiore d’individui.

Tutto questo comporta un lento ed inesorabile degrado della qualità di vita.

Non so se una decrescita possa essere davvero felice, se non si soddisfano alcune condizioni: la prima tra queste è che non bisognerebbe rinunciare a quanto il progresso ci ha fin ora concesso; una decrescita sana dovrebbe contribuire al miglioramento generale della qualità della vita e non ad un suo peggioramento; per ottenere questi obbiettivi è necessario cambiare i sistemi di produzione, distribuzione e consumo di ogni prodotto, merce o servizio.

Intendo sperimentare in prima persona le vie che possono portare al conseguimento di un obbiettivo che porta ad un risultato così elevato da poter sembrare utopico. Lo farò perseguendo la via dell’autosussistenza, cioè l’autosufficienza sia alimentare che energetica, del risparmio, del riciclo e del riutilizzo, sia diretto che creativo. Tornerò quindi spesso a scrivere dei questo argomento.