Il picchio – racconto malato

Racconto pubblicato la prima volta il 4 Febbraio 2009 in questo blog
Il Picchio è un'idea ossessiva che martella la mente
Il Picchio è un’idea ossessiva che martella la mente

Nell’ora tarda, quello spigolo buio che gli era sempre sembrato confortevole, gli pareva ora come la bocca dell’inferno, pronta ad ingoiare una nuova anima da aggiungere alla sua già nutrita collezione. Aveva, ormai da alcuni giorni, un problema incredibilmente fastidioso. Il verso di una canzone, sentita per caso anni prima, continuava a tormentarlo ripetendosi all’infinito. “Notte, di colpo la notte, il cuore che batte è fermo ora mai… la pioggia ancora col sole… tu vedi chi nasce e chi muore… per tè…

Inutile pure tentare di dormire. Non si può zittire una voce, quando questa viene dagli abissi della mente. Fosse almeno stata una canzone che gli piaceva… ed invece no! Un pezzo che, nonostante l’onore riscosso all’epoca, aveva sempre trovato insignificante. E continuava a tormentarlo, impedendogli di svolgere qualsiasi lavoro che richiedesse anche solo un minimo di concentrazione, o che, al contrario, volesse un po di quiete, come dormire. Già, dormire… ne aveva proprio bisogno!

Non conosceva neppure il titolo di quella canzone, ricordava solo quel verso, anche se, in realtà, era ormai convinto che fosse il verso a ricordarsi di lui. Si, non vi era altra spiegazione logica. Era forse un tarlo che lo rodeva e lo consumava? No, non gliene fregava nulla della canzone. Era piuttosto un picchio. Un picchio che gli martellava il cranio con insistenza, come la goccia d’acqua che scava la roccia. O la testa della vittima nell’omonima tortura cinese. Si, una tortura lunga e fastidiosa.

Le prime luci dell’alba lo colsero quasi di sorpresa: era ormai in uno stato apparentemente catatonico, coi riflessi di una statua e pure un evento lento come il sorgere del sole gli pareva rapido, immediato. Una breve pausa, da parte della voce nella sua mente, gli diede modo di scorgere il mondo esterno e di sperare che fosse finalmente finita, invece, poi: “Notte, di colpo la notte, il cuore che batte è fermo ora mai… la pioggia ancora col sole… tu vedi chi nasce e chi muore… per tè…

No, non era ancora finita! “Aria, un po d’aria mi schiarirà le idee”, pensò. La città, di prima mattina molto più gradevole che non durante il giorno, pareva scorrere attorno alla sua immobilità. Gente tranquilla e sorridente lo sfiorava appena durante il suo delirante viaggio: “Ma che ci sarà da sorridere? Come fanno a sopportarla?”. Certo, non poteva comprendere come gli altri non la udissero. Erano certamente sordi. Oppure erano impazziti tutti. Non c’era altra spiegazione logica.

E continuò a farsi trascinare da quel verso per i vicoli della città, nelle zone che meno frequentava abitualmente e che gli parevano nuove e meravigliose, esoteriche se vogliamo. Se seguiva un certo percorso il picchio pareva più delicato e segnava meno in profondità il suo scalpo. Seguiva, quindi, un percorso che in qualche maniera gli dava conforto, in quanto attenuava la sua tortura. Finchè questo viaggio di cura non lo condusse di fronte ad un insolito negozio di armi ed armature medioevali.

All’esterno del negozio, a mo d’insegna, un’armatura vuota impugnava uno spadone dalle proporzioni a dir poco improbabili. Una coppietta la fissava con ammirazione. Poi, d’un tratto, lei disse al suo partner, senza avere l’accortezza di abbassare la voce: “Guarda quello che sguardo!”. Fu un lampo, un’illuminazione! Afferrò lo spadone e trafisse lei con tale violenza da squartarli ambodue e gridò: “Era una sguardo d’amore, la spada è nel cuore e ci resterà! Sei bella, in questo momento…

Il suo grido degradò lentamente in una risata isterica che pareva non aver fine: il tormento era passato, il picchio non c’era più! “Che stupido!”, pensò, “Era sufficiente pensare al resto della canzone per farla sparire! Come ho fatto a non capirlo subito? Era l’unica cosa logica da fare!”. Venne il buio, poi riprese conoscenza. Lo spigolo buio in cui si trovava ora gli pareva molto confortevole: le pareti, il pavimento, persino il soffitto erano morbidamente imbottiti. Ora si sentiva finalmente a casa!